La Corte di Cassazione ha confermato il diniego della misura cautelare nei confronti di un giovane indagato per il lancio di una bomba carta nel centro di Salerno. Al centro della decisione, la mancata verifica tecnica sulla potenza dell’esplosivo e indizi ritenuti insufficienti per l’identificazione.
La vicenda giudiziaria
La Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dal Procuratore della Repubblica di Salerno contro l’ordinanza del Tribunale del Riesame che aveva negato gli arresti domiciliari ad un 23enne; era accusato in concorso con un altro soggetto di aver tentato di far esplodere un ordigno tipo “bomba carta” nei pressi della Questura e della Prefettura di Salerno.
La Procura aveva richiesto l’applicazione della misura cautelare contestando reati gravi, quali la pubblica intimidazione (art. 421 bis c.p.) o, in subordine, la fabbricazione o detenzione di materie esplodenti (art. 435 c.p.). Tuttavia, i giudici ermellini hanno confermato la linea del Tribunale di Salerno, rigettando la richiesta.
I dubbi sull’identificazione: la barba e le scarpe non bastano
Uno dei punti critici sollevati già nelle fasi precedenti riguardava l’identificazione dell’indagato. Mentre il presunto complice era stato identificato con certezza, per il 23enne il quadro indiziario appariva più sfumato.
L’identificazione si basava su elementi che il Tribunale ha ritenuto non sufficientemente gravi come una barba simile a quella dell’attentatore, un paio di scarpe simili a quelle riprese dalle telecamere e un rapporto di frequentazione con l’altro indagato.
Il giudice per le indagini preliminari aveva sottolineato come tali indumenti fossero di “uso comune” e diffusi, rendendo la somiglianza non decisiva per una misura restrittiva della libertà personale.
Il nodo della micidialità dell’ordigno
Al di là dell’identificazione, la Cassazione ha fondato la sua decisione su una questione di diritto sostanziale riguardante la natura dell’ordigno. La Procura contestava il reato previsto dall’art. 435 c.p., che punisce chi detiene materie esplodenti con il fine di attentare alla pubblica incolumità.
La Corte ha però chiarito che, per configurare il “dolo specifico” (la volontà precisa di attentare alla sicurezza pubblica), è necessario conoscere la natura del materiale. Nella sentenza si legge:
“Nel caso in esame la natura dei mezzi usati, la loro potenzialità offensiva e le specifiche modalità di impiego degli stessi non sono state indagate perché, appunto, non è stato fatto alcun accertamento sulle caratteristiche dell’ordigno.”
Senza una perizia che attesti la micidialità o la capacità offensiva della bomba carta, non è possibile provare che l’intento fosse quello di causare un danno alla pubblica incolumità. Di conseguenza, il fatto potrebbe essere derubricato alla meno grave contravvenzione di “accensioni ed esplosioni pericolose” (art. 703 c.p.), un reato per il quale la legge non consente l’emissione della misura cautelare richiesta dal Pubblico Ministero.
La Corte ha concluso che l’impossibilità di applicare la misura per il tipo di reato configurabile rendeva superfluo esaminare ulteriormente gli indizi sull’identificazione dell’indagato, chiudendo il caso con il rigetto del ricorso.

