Il 23 dicembre 2001, all’età di 59 anni, un infarto metteva fine alla vita tormentata di Giovanni Marini. Originario di Sacco, piccolo borgo del Cilento dove visse fino ai dieci anni prima di trasferirsi a Salerno con la famiglia, Marini è stato una figura centrale e controversa della cronaca politica italiana degli anni settanta.
Dal lavoro in fabbrica all’impegno anarchico
La sua traiettoria politica iniziò nel Partito Comunista, da cui uscì presto per abbracciare posizioni anarchiche. Dopo una parentesi come operaio a Monza, interrotta dal licenziamento dovuto proprio al suo attivismo, Marini rientrò a Salerno nel 1970. Fu qui che, due anni più tardi, la sua vita cambiò per sempre.
La tragedia di via Velia
Il 7 luglio 1972, sul lungomare di Salerno, un primo scontro verbale tra Marini e l’amico Giovanni Scariati contro i militanti del FUAN Carlo Falvella e Giovanni Alfinito sembrò risolversi senza violenza. Tuttavia, circa due ore dopo, in via Velia, i gruppi si incrociarono nuovamente. A Marini e Scariati si era aggiunto Francesco Mastrogiovanni.
Marini, che nel frattempo si era armato di un coltello, affrontò i due giovani missini. L’epilogo fu tragico: Carlo Falvella morì poco dopo il ricovero per una ferita all’aorta, mentre Alfinito rimase ferito. Marini si costituì la sera stessa, ammettendo inizialmente le proprie responsabilità per poi rettificare la dinamica mesi dopo, sostenendo di essere intervenuto per difendere Mastrogiovanni da un’aggressione fascista.
Il caso Marini e Soccorso Rosso
L’omicidio Falvella divenne immediatamente un caso politico nazionale. Soccorso Rosso Militante, con il sostegno di figure come Dario Fo, avviò una massiccia campagna per dimostrare l’innocenza di Marini o la natura difensiva del suo gesto. Durante la carcerazione preventiva, Marini venne trasferito in 15 diversi istituti di pena, denunciando costantemente le pessime condizioni igienico-sanitarie delle carceri e diventando un punto di riferimento per il movimento dei “carcerati rossi”.
In sua difesa si schierò persino Umberto Terracini, già presidente dell’Assemblea Costituente. Il processo, spostato a Vallo della Lucania per motivi di ordine pubblico, si concluse nel 1975 con una condanna a dodici anni (poi ridotti a nove) per omicidio preterintenzionale aggravato e concorso in rissa.
Il riconoscimento letterario e gli ultimi anni
Dietro le sbarre, Marini trovò nella scrittura una forma di riscatto. La sua raccolta di poesie “E noi folli e giusti” vinse il Premio Viareggio nella sezione “Opera prima”, ottenendo il plauso di intellettuali del calibro di Alberto Moravia e Camilla Cederna.
Uscito dal carcere nel 1979, nonostante un impiego presso la Comunità Montana Vallo di Diano, Marini scivolò gradualmente ai margini della vita sociale e politica. Nel 1982 subì un ultimo arresto con l’accusa di appartenenza alle Brigate Rosse, dalla quale risultò poi completamente estraneo. La sua morte, avvenuta nel 2001, ha chiuso definitivamente una delle pagine più dolorose e simboliche degli anni di piombo nel Mezzogiorno.

